castello di montechiaro
Uno dei più interessanti e singolari castelli del piacentino è quello di Montechiaro, la cui struttura si discosta da quella tradizionale, per il solitario dongione posto in mezzo al cortile del complesso, la cui impostazione si adatta alla forma dell'altura su cui sorge.
La parte superiore della torre (nel quale si asserragliavano il feudatario e il presidio nei casi disperati per tentare di salvarsi dagli assalitori) è coronata da merli ghibellini; su una facciata una finestrella con voltino monoblocco in pietra fa pensare che la costruzione (almeno la parte inferiore) debba essere duecentesca.
Una prima muraglia di quindici metri d'altezza, lungo la quale corre il cammino di ronda, si sviluppa a forma di esagono irregolare, e ad essa si addossano i caseggiati di abitazione e di servitù sorti in epoca successiva.
Nella primitiva dimora signorile, disposta a nord-ovest, sono visibili sulle pareti di un ampio salone, tracce di tappezzerie affrescate, il cui motivo predominante è rappresentato dallo stemma nobiliare degli Anguissola, feudatari di Montechiaro.
Sulla parete di un'altra stanza adiacente (forse in antico adibita ad oratorio) è una bella Madonna affrescata da un ignoto artista di epoca rinascimentale.
La prigione è situata in un vasto sotterraneo sui cui muri è ancora chiaramente visibile, fra altre frasi e disegni, il brano di un canto liturgico inneggiante alla risurrezione di Cristo, graffito sull'intonaco da un anonimo prigioniero. All'esterno della prima cinta, e ad una quota inferiore di qualche metro, corre una seconda muraglia il cui andamento si presenta a forma quasi ellittica.
Nel settore sud-ovest di essa è ricavato l'unico ingresso del castello, accessibile un tempo attraverso il ponte levatoio. L'estremo margine del complesso è dato da una terza cinta muraria, in buona parte diroccata che -alla distanza di una trentina di metri- si snodava anch'essa con andamento poligonale attorno al colle.
Montechiaro fu, all'epoca della sua costruzione, un caposaldo della potente famiglia dei Malaspina in direzione della pianura e di Piacenza. Forse furono essi a costruire il castello verso la metà del 1100.
Ricordato anticamente come castello di Raglio frazione più vicina, dagli "Annali Piacentini" risulta che nel 1234 venne distrutto dai popolari piacentini che avevano pure dato l'assalto a Rivergaro e a Pigazzano, nei cui castelli si erano rifugiati i nobili fuggiti dalla città durante una delle tante lotte civili.
L'abate A. Corna nel volume Rocche e castelli del piacentino riferisce un episodio databile al 1374, anno in cui un altro Fulgosio tentò inutilmente di occupare il castello difeso da Riccardo Anguissola. Questi peraltro seppe bene tenere a bada gli assedianti, anzi, durante le frequenti sortite, catturò pure molti prigionieri che poi fece precipitare dall'alto delle mura.
Dopo alterne vicende, la controversia si appianò e la pace fu sottoscritta e sancita con un matrimonio tra una Fulgosio e un Anguissola. Nel 1462 Onofrio Anguissola, alla testa di un numeroso gruppo di rivoltosi -per lo più contadini avversi al governo di Francesco Sforza- venne clamorosamente sconfitto dalle truppe ducali a Grazzano Visconti.
Sfuggito per miracolo alla cattura, l'Anguissola si rifugiò nel castello di Montechiaro dove venne catturato da suo fratello Gian Galeazzo, per ottenere il favore del duca. Scrive il Corna: "Il disgraziato, dopo dodici anni di prigionia, fu decapitato nel 1474 nella Rocca di Binasco".
Il castello, uno dei più suggestivi del piacentino, sia per la posizione a dominio della media Val Trebbia, sia per il bel parco che lo circonda, sia per l'originale architettura, è pure famoso per il bassorilievo (ora al Museo Civico) in cui si notano gli abitanti del castello nell'atto di farsi incontro ai loro ospiti e la dicitura in lingua volgare (una delle prime testimonianze scritte) che suona: "Signori vu sie tuti gi ben vegnù e zesscun ghe verà serà ben vegnù e ben recevù".