comune di Lugagnano val d'arda
La Storia
Il territorio di Lugagnano fu abitato nel periodo compreso tra l’Età della Pietra e l’Età del Bronzo, mentre testimonianze di insediamenti delle fasi finali dell’Età del Ferro sono emerse a Veleia, di cui parleremo più avanti.
Il toponimo di Lugagnano sembra derivare da Lucus Anneianus, che significa radura sacra ai Galli Anani, o ad Anneio.
Come tutte le alte vallate piacentine, anche queste zone furono abitate da popolazioni di matrice gallo celtica e ligure.
La Tabula Alimentaria Traianea testimonia che nei dintorni di Lugagnano c’erano proprietà terriere, come il fundus Pollianus (Polignano), Antoniano (Antognano), il pagus Valerius con fundus Virianus (che sembra essere Variano nei pressi di Veleia) ed altri, ma il primo documento che cita esplicitamente il villaggio risale all’anno 884, menzionando Lucaniano e Nebiano (quest’ultimo citato già quarant’anni prima): si tratta di toponimi di origine romana, derivati da quelli del proprietario di un fondo.
In seguito la gran parte del territorio di Lugagnano fu concesso all’Abbazia di Val Tolla - di cui si parla ampliamente nella sezione dedicata a Morfasso – anche se le chiese di Chiavenna Rocchetta, di Diolo, di Prato Ottesola e di Lugagnano furono tributarie della plebana di Santa Maria Assunta di Castell’Arquato tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIV, forse anche in virtù della decadenza del Monastero di Val Tolla.
Anche il territorio di Lugagnano era toccato dalla Via Francigena dei Monasteri, prediletta dai Longobardi per raggiungere Pavia dai loro regni in centro e sud Italia: da Vigolo Marchese passava per Rustigazzo e per la pieve di Macinesso, seguendo poi le tappe che portavano a Borgotaro e Pontremoli.
Tra il XIII e il XIV secolo, il controllo politico della zona passò al Comune di Piacenza, nei decenni in cui Alberto Scoto era Signore della città. In seguito governarono i Visconti e, quindi, gli Sforza: questi si insediarono sul territorio allorquando il Monastero di Val Tolla fu soppresso da Papa Paolo III, che assegnò la zona in commenda a Guido Ascanio Sforza.
Con gli Sforza Cesarini, l’area entrò a far parte del Ducato Farnesiano e ne seguì le vicende fino all’Unità d’Italia.
Nel 1816 Maria Luigia d’Austria visitò gli scavi di Veleia e soggiornò in paese presso Palazzo Gandolfi.
Lugagnano ha dato i natali a Giovanni Nicelli, il sergente maggiore pilota caduto nel cielo del Montello nella primavera del 1918: era considerato “asso degli assi” della Prima Guerra Mondiale.
La visita al paese comincia con la barocca Parrocchia di San Zenone (Piazza don Bassi), eretta nel 1219 e rimaneggiata nel XVI secolo: della costruzione primitiva si apprezzano ancora blocchi squadrati in arenaria all’esterno dell’abside, un campanile in mattoni incluso nella canonica e un duecentesco capitello usato come pietra d’altare in una cappella interna; la facciata in pietra risale invece al XIX secolo. L’interno a navata unica custodisce la Cena di Emmaus, una grande tela dipinta nel 1748 da Luigi Crespi, posta nella prima cappella a destra, mentre la seconda cappella a sinistra mostra stucchi e statue barocche; alcuni arredi sacri sono del XVIII secolo, il coro è ottocentesco. In sagrestia è custodita una croce lignea trecentesca.
Il Museo Archeologico Nazionale di Parma custodisce un’iscrizione funeraria in marmo trovata nel Settecento sotto l’altare di San Contado.
Poco più a sud, in Piazza IV Novembre, c’è il settecentesco oratorio della Beata Vergine, decorato da stucchi barocchi e da un dipinto che raffigura l’Annunciazione (XVIII secolo).
Palazzo Gandolfi, sede del Municipio, si trova lungo Via Bersani: l’edificio è ingentilito dal balconcino in ferro battuto, dalla corte interna a doppio loggiato e dallo scalone monumentale. Don Filippo di Borbone, che volle avviare gli scavi a Veleia, soggiornò in questo Palazzo, come fece qualche anno dopo suo figlio don Ferdinando con la moglie Maria Amalia, figlia dell’imperatrice d’Austria Maria Teresa.
Proseguendo a sud-ovest per un chilometro, si arriva al settecentesco oratorio della Madonna del Piano, posto al termine dell’omonimo viale.
Appena a nord-ovest dell’abitato di Lugagnano, presso la località di Niviano – fundus citato nella Tabula Alimentaria – ci si trova ai piedi della stazione 7 della Riserva naturale paleontologica del Piacenziano: si tratta dei calanchi alle pendici di Monte Giogo in sinistra orografica dell'Arda, un’imponente parete contraddistinta nella parte inferiore da argille azzurrognole, seguite da strati sabbiosi giallo-dorato caratterizzati da biocalcarenite, un tritume conchigliare. Nel 1834 Giuseppe Cortesi, professore onorario di geologia all’Università di Parma, trasse alla luce qui uno scheletro di un rinoceronte, mentre, nel 1842, Giovanni Podestà trovò uno scheletro di delfino (i reperti sono esposti al Museo Paleontologico Parmense).
Dintorni
Il capoluogo sorge sulla riva sinistra del torrente Arda ed è fortemente decentrato rispetto al territorio comunale, poiché si trova sul margine, verso nord-est.
Appena fuori dell’abitato, si prende una strada che punta a nord-ovest, in direzione Vigolo Marchese, e si arriva a Chiavenna Rocchetta (193 m). Qui si visita la chiesa di Sant’Ilario, citata in un documento del 1327 come tributaria della plebana arquatese; la zona fu possedimento del Monastero di Val Tolla. Il tempio odierno è tardo-ottocentesco ed è stato affrescato nel Novecento da A. Aspetti.
Nel dintorni di Chiavenna sono state trovate una stele romana e alcune tombe con corredo della stessa epoca (visibili presso l’Antiquarium di Veleia).
Si torna verso Lugagnano per raggiungere Prato Ottesola (213 m), con la semplice e graziosa chiesa di San Donnino in stile neoromanico del tardo ottocento: un tempio tributario della pieve arquatese esisteva già nel 1192.
Dalla frazione, girando a destra e puntando a nord, si arriva a Diolo (325 m).
La chiesa del paese, dedicata a San Bernardo, fu tributaria della plebana di Castell’Arquato, come dimostrano carte del XIII secolo, e quindi della pieve di Travazzano (1529). L’edificio odierno è frutto della ristrutturazione in stile neoromanico del 1930.
Una grande area compresa tra il Chiavenna, Diolo e la località La Valle, coincide con la stazione 5 della Riserva naturale paleontologica del Piacenziano, quella dei calanchi del Rio Stramonte, a sud di Diolo. Ancora una volta si possono studiare le argille e le arenarie ricche di fossili, dove, nel 1895, i fratelli Pallastrelli trovarono uno scheletro di delfinide e, nel 1899, quello di una balena, esposti al Museo Paleontologico Parmense.
Da Prato Ottesola, girando a sinistra e dirigendosi ad ovest verso Polignano, dopo un chilometro si vede il castello dei Mancassola, che furono feudatari anche di San Genesio.
Presso Polignano si tiene la strada di sinistra e si visita Montezago (349 m), l’antica Montejacomum ricordata nelle cronache come campo di battaglia tra fazioni medievali. L’attuale chiesa, dedicata a San Biagio, è stata edificata alla fine dell’Ottocento su quella primitiva, che nel Trecento era tributaria della pieve di Travazzano. Negli anni Sessanta è stata eretta una nuova chiesa in località Tabiano (234 m).
Presso Osteria di Montezago si visita la stazione 4 della Riserva del Piacenziano, dove si apprezza la voragine ad anfiteatro con pareti scoscese di arenarie giallo pallido.
Il professor Cortesi, tra il 1815 e il 1816, rinvenne qui due scheletri di cetacei.
Da Polignano, tenendo la destra, si arriva a Tabiano, che si trova vicino alla provinciale per Carpaneto, presso il Chero. Poco dopo il bivio si trovano i resti di una torre medievale, detta “Torrazza”. Nella zona di Tabiano si può fare una passeggiata nella stazione 3 della Riserva, quella del Rio dei Carbonari, sulla riva destra del Chero e proprio di fronte alla stazione 2 di Badagnano.
Nel 1983, sul versante destro del Rio, è emerso un cranio ben conservato di balenottera, lungo oltre due metri ed esposto nel Museo di Castell'Arquato.
Per visitare il territorio meridionale del Comune, andiamo presso l’oratorio della Madonna del Piano, un chilometro dopo Lugagnano: qui si gira a destra per San Genesio e Antognano.
Prima di arrivare a San Genesio (535 m) si passa davanti ad un ofiolite detto Sasso Nero. La frazione si trova sul crinale tra il Chiavenna e l’Ottesola: è luogo di ritrovamenti d’epoca romana e fu sede di un antico oratorio.
Antognano (505 m) fu un vicus romano. Nel IX secolo il villaggio era già dotato di una chiesa eretta sul Poggio Grattona, ma, dal ’400, prese ad essere più frequentato l’oratorio a valle, dedicato a San Giorgio: il tempio fu così ampliato, specialmente nel corso del XVII secolo, anche se l’aspetto attuale della chiesa è dovuto alle ristrutturazioni del 1976.
Dalla chiesa di Antognano si sale e, dopo breve distanza, si gira a sinistra per Vicanino, dove alcune case presentano elementi architettonici cinquecenteschi: fra le costruzioni si individua una casa-torre, riconoscibile benché ribassata.
Si torna al bivio e si svolta a sinistra per Rustigazzo. Questa frazione si trova nell’alta Val Chero, a 472 metri s.l.m.
In paese è ancora visibile parte del castello in sasso – più volte modificato -, appartenuto ai Da Rustigazzo e ai Pallavicino. La chiesa di Santa Maria Assunta è a navata unica con cappelle laterali: quella dedicata a San Rocco conserva un’antica statua che raffigura il Santo.
Da Rustigazzo, seguendo le indicazioni, si arriva al Parco del Monte Moria, anche detto Parco Provinciale di Morfasso – Veleia, cui si è parlato nella sezione dedicata a Morfasso (www.parcomontemoria.it).
Veleia romana: la storia
Veleia (460 m) si trova a tre km da Rustigazzo, chiusa tra le pendici del Monte Rovinasso a nord-ovest e quelle del Moria a sud-est.
Fino al 1815 fu un Comune indipendente, e solo da quell’anno venne incluso nel distretto di Lugagnano.
La pieve di Sant’Antonino è citata in un documento del 1297, anche se esisteva già nel IX secolo; a quell’epoca la località era nota come Macinesso, toponimo caduto in disuso nell’Ottocento. La chiesa odierna fu costruita nel XVI secolo, e più volte rimaneggiata. Sull’altare maggiore si ammira un seicentesco ciborio ligneo dorato. Il piccolo museo parrocchiale conserva arredi sacri sette/ottocenteschi ed il piviale donato da Maria Luigia d’Austria.
Dal piazzale della chiesa si accede alla zona archeologica (tel. 0523.807113).
Gli scavi iniziarono nel 1760 per volere del duca don Filippo di Borbone, allorquando gli fu donata la Tabula Alimentaria Traianea, trovata casualmente nel 1747: si tratta della più grande iscrizione su bronzo del mondo romano a noi pervenuta (1,38 m x 2,86 m), risalente agli inizi del II secolo d.C.; vi erano elencati i proprietari fondiari di una regione di circa 1.200 kmq facente capo a Veleia: essi, ipotecando i loro terreni, ottenevano un prestito imperiale, i cui interessi erano utilizzati per sostentare i bambini poveri.
Gli scavi diedero subito risultati sorprendenti: nel 1760 emerse il foro, e nel portico si trovarono la lastra bronzea della Lex Rubria, la testa bronzea di giovinetta, la statuetta dell’Ercole ebbro.
Nel 1761 si scavò la basilica e furono dissotterrate dodici statue marmoree che rappresentano i membri della famiglia imperiale Giulio-Claudia; l’anno dopo si palesò anche l’impianto termale.
Con l’occupazione napoleonica, i reperti custoditi presso il Museo di Antichità di Parma furono trasferiti a Parigi, e solo dopo il Congresso di Vienna tornarono in Italia, per interessamento della duchessa Maria Luigia d’Austria.
Nel 1876 si scoprì, a sud-ovest del foro, una necropoli della tarda Età del Ferro (V – IV secolo a.C.), ma reperti dell’Età del Bronzo (XVI – XIII secolo a.C.) testimoniano una continuità degli insediamenti umani in questa zona.
L’abitato fu fondato dai Ligures Veleiates, per i quali era un insediamento di confine verso est. I Romani l’occuparono in modo pacifico, attribuendogli la cittadinanza romana nel 42 d.C.
Durante l’ultimo secolo della Repubblica, Veleia divenne un fiorente Municipio romano, capoluogo di un vasto comprensorio dell’Appennino medio e montano, compreso tra Trebbia e Taro.
Il suo sviluppo non sembra legato a traffici commerciali, data la lontananza dalle maggiori vie di comunicazione: molto più probabile che i Romani lo considerassero un luogo di soggiorno, anche per la presenza di acque saline e, quindi, delle terme.
Le fasi edilizie della città di Veleia sono riconducibili a cinque momenti diversi, come dimostrato da Mirella Marini Calvani negli anni ’70 e ’80: due fasi risalgono al periodo tardo-repubblicano, la terza all’epoca augustea, la quarta alla prima metà del I secolo (foro e zone adiacenti), la quinta ad un’epoca posteriore (accesso monumentale al foro).
Tra la fine del III secolo e il IV, la grandezza della città cominciò a tramontare, sia per la difficile situazione economica derivata dal concentrarsi delle proprietà nelle mani di grandi latifondisti, sia per la scarsa redditività di un terreno franoso (forse una frana rovinò su Veleia dal Monte Rovinasso).
L’abitato è dislocato su una serie di terrazze: la visita comincia dal lato sud, con quartieri di abitazioni di età Giulio-Claudia; si fiancheggiano i resti dell’edificio termale e quelli della Casa del Cinghiale, posta lungo la via porticata a destra: l’edificio è così chiamato perché un pavimento era decorato da un mosaico che raffigurava un cinghiale, appunto.
Un po’ discosta dall’abitato, a sud-est, è stata trovata un’area circolare creduta un anfiteatro, ma che, più probabilmente, fu una cisterna per la raccolta delle acque.
La via porticata è alle spalle della basilica, che delimita tutto il lato minore a sud del foro: si trattava di un edificio rettangolare di 400 mq, all’interno del quale era esposta la Tabula Alimentaria.
Gli altri tre lati del foro sono circondati da portici a colonne tuscaniche, oltre cui si trovavano disposte un buon numero di botteghe, alcune dotate di impianto di riscaldamento; la piazza mostra una pavimentazione in lastre di arenaria molto ben conservata; l’ingresso al foro si trova sul lato settentrionale e doveva essere impreziosito da ricche colonne e pavimentazione di marmo. Nel foro ci sono basamenti di statue equestri, due mensae con sedili di marmo rosso di Verona; inoltre, vi erano esposte le iscrizioni con i doni fatti alla città dai cittadini abbienti.
Ad est del foro si trova un altro quartiere residenziale.
I reperti più interessanti emersi dagli scavi - che mostrano come la città vivesse in agiatezza - si trovano al Museo Archeologico Nazionale di Parma, fondato dal duca don Filippo di Borbone all’apertura degli scavi; anche presso l’area archeologica c’è comunque un Antiquarium allestito presso la palazzina della direzione degli scavi, risalente all’epoca di Maria Luigia d’Austria.
Qui si possono vedere il calco della Tabula Alimentaria Traianea, la copia in gesso della Stele del Venator e quella della tavola bronzea della Lex Rubria de Gallia Cisalpina, emanata nel 49-42 a.C.
Sono inoltre esposti una scultura in pietra che forse raffigura Marsia, una stele funeraria, un’iscrizione risalente alla costruzione della basilica, un tondo di marmo che reca un’iscrizione e un mosaico policromo con decorazioni geometriche e maschera teatrale.
Orari d’apertura dell’area archeologica e dell’Antiquarium: da aprile a settembre, tutti i giorni, dalle 9,00 alle 19,30; da ottobre a marzo tutti i giorni dalle 9,00 alle 16,30.
Informazioni Utili
Municipio
Via Bersani
Tel. 0523-891232
E-mail: comune.lugagnano@sintranet.it
Sito web: www.comune.lugagnano.pc.it
Carabinieri
Tel. 0523-891234
I.A.T. di Castell’Arquato
Tel. 0523-803091
E-mail: iat@castellarquato.com
Riserva naturale paleontologica del Piacenziano
Tel. 0523-795217
Fax: 0523-326376
Museo Geologico di Castell’Arquato
Tel. 0523-804266 – 0523-803091
Parco del Monte Moria, o Parco Provinciale di Morfasso – Veleia
Sito web: www.parcomontemoria.it
Comunità Montana Valli del Nure e dell’Arda
Bettola - Piazza Cristoforo Colombo, 6
Tel. 0523-900048 - 0523-911541
Frazioni: Antognano, Chiavenna Rocchetta, Diolo, Lugagnano Val d'Arda, Montezago, Prato Ottesola, Rustigazzo, Tabiano, Veleia, Vicanino
Distanza da Piacenza: 37 km
Superficie: 54,3 kmq
Altitudine: 229 m
Residenti: 4.260 circa
CAP: 29018